Politica e solidarietà

Piero Lacorte

Ostuni, 22 Febbraio 2012

“E se la vita spirituale fosse una delle condizioni fondamentali di una intensa vita sociale e politica?” si domanda Paul Valadier in una recente pubblicazione dal titolo “Lo spirituale e la politica”.

L’interrogativo induce a riflettere con estrema serietà sulle profonde cause che possono aver provocato l’attuale crisi economica italiana e su quali possano essere i criteri più validi per una sua idonea soluzione.

A nessuno sfugge quanto sia stata inadeguata la classe politica italiana da alcuni anni a questa parte: essa non ha saputo rendersi pienamente conto della pericolosa china per la quale si era avviata la nazione.

La presa d’atto di una tale inadeguatezza ha spinto il Capo dello Stato ad individuare una compagine governativa, definita tecnica, che potesse essere in grado di decisioni necessarie per tentare di evitare il fallimento del paese, nella convinzione, condivisa dai più, che solo tecnici competenti e non condizionabili dagli umori degli elettori perché non aspiranti a future candidature, avrebbero avuto tale capacità.

I primi provvedimenti emanati dal governo dei tecnici sono in linea con la logica della loro cultura in materia economica, secondo la quale, per dirla con lo stesso Valadier “a qualunque problema corrispondono soluzioni tecniche portate a non arrestarsi se non davanti a parametri calcolabili e quindi oggettivamente valutabili”.

Tali provvedimenti non sono stati condivisi da molta parte dei cittadini, soprattutto da quelli appartenenti alle classi meno abbienti.

Gli uomini di governo attuali ritengono a ragione, dal loro punto di vista, che una situazione economica stabile sia la precondizione necessaria per un futuro “bene comune”. Se i governanti solo tecnici non sembrano propensi ad una sano discernimento che li induca a porsi nei panni di chi non è nelle condizioni di sopportare molti sacrifici per uno stato di palese cronica indigenza, rischiano affermazioni inopportune e incaute che offendono chi soffre, come quelle che ci è stato dato ascoltare recentemente.

Chi non ha mai conosciuto la povertà e l’insicurezza esistenziale che essa genera, non può comprendere le ragioni di quanti aspirano ad un posto fisso al solo scopo di vivere tranquilli, a riparo dal rischio di un ritorno a quella indigenza atavica dalla quale cerca di difendersi con ogni forza.

Chiunque si assume la responsabilità di governo non può limitarsi a porre al servizio della comunità le proprie competenze tecniche, ma deve essere anche disponibile a porsi nei panni di chi vive nell’indigenza per rendersi pienamente conto delle sue sofferenze e per risparmiargli perciò ulteriore sacrifici che gli renderebbero la vita insostenibile.

Ove gli uomini di governo entrassero in un tale ordine di idee e di comportamenti non richiederebbero ulteriori sacrifici a quanti non sono nelle condizioni di poterli sopportare, secondo i sani principi di una economia solidaristica che va perdendo ogni dignità.

Se i governanti continuano ad ignorare le difficoltà dei poveri la comunità nazionale potrà correre il serio pericolo di diventare facile preda di qualche improvvisato tribuno con seri rischi per il regime democratico.

Per concludere è utile infine riflettere sui pericoli che corre l’Unione Europea, tanto sognata e voluta da politici di razza, perché attualmente condizionata da una troica (CE-BCE-FMI) che sembra abbia perduto ogni senso di umanità per sempre nuove condizioni che stanno imponendo ad un paese allo stremo, come la Grecia, quella Grecia che con la figura di Antigone ci ha insegnato con quale convinzione e con quale coraggio si possa coniugare quella “pietas” che viene prima di ogni norma positiva in ragione del dovere imprescindibile di prendersi cura del prossimo, riconoscendo il valore dei cosiddetti “mondi vitali

Ferdinando Camon, in un editoriale comparso su Avvenire del 18 Febbraio ultimo scorso, completamente condivisibile, afferma che “ci deve essere un rapporto tra terapia e sopravvivenza” e che se tale criterio non viene tenuto presente è perché “questa Europa” non ha radici cristiane.

Remi Brague ha invitato a riflettere che “occorrono giacimenti di senso; ne abbiamo bisogno, perché non basta credere nell’Europa. Bisogna anche credere bene all’Europa. E ciò è possibile se non si crede soltanto nell’Europa”. Quanti si definiscono cristiani sono ancora oggi capaci di “prendere parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo” secondo la felice espressione di D. Bonhoeffer?