ANALISI ELEZIONI EUROPEE 2024

di Angelo Mendace

15 Giugno 2024

Vorrei seguire lo schema dell’articolo “L’Italia Bipolare” di Domenico Rogante a motivo di chiarezza e omogeneità (oltre che l’apprezzamento per l’analisi), procedendo per sintesi, restando nell’orizzonte italiano, con l’auspicio che le analisi possano favorire la presa di coscienza del momento che stiamo vivendo e porti ad iniziative concrete.

L’ASTENSIONISMO

L’astensionismo, oltre il recupero doveroso e dignitoso della platea dei fuorisede, comprende coloro che sono stati progressivamente indotti a disinteressarsi del voto, la cui origine – oltre che nello spirito di chi cerca dappertutto la propria utilità - forse va ricercata (dico forse, solo perché ci sono esempi virtuosi che vanno riconosciuti); forse va ricercata anche nell’ambito educativo, lì dove si dovrebbe formare anche la coscienza civica dei ragazzi e dei giovani.

Un errore da scongiurare è quello di confondere la bassa affluenza come fosse un segno positivo di adeguamento al trend internazionale, come fosse un progresso in linea con le democrazie occidentali. 

IL VOTO, I PARTITI E MOVIMENTI, I GRUPPI

Non sono convinto che nella recente consultazione europea l’elettorato abbia valutato i programmi, compresa l’autonomia differenziata. Penso, invece, che il voto dimostri che centro destra e centro sinistra, al netto delle incrementali astensioni, abbiano recuperato (o recuperato in parte, per il centro sinistra) il loro consenso tradizionale.

Nel centro destra i valori si mescolano fra i vari gruppi, preservando pressappoco lo stesso valore assoluto, al netto delle astensioni.

Mentre nel centro sinistra ci sono gruppi “autonomi” a sinistra del Pd che potrebbero essere coinvolti in coalizione se, pur con le legittime posizioni radicali, fossero disponibili ad accettare punti di convergenza programmatica.

  

Per il Movimento 5 Stelle sta avvenendo ciò che era prevedibile: governare – prima a livello nazionale e, in tante parti, a livello locale – significa fare i conti con la realtà, con i meccanismi istituzionali, con il consenso, in pratica facendo cadere la velleitaria voglia di cambiare tutto senza una visione ampia e complessiva (e l’esperienza adeguata).

Eppure, il Movimento 5 Stelle deve essere (e speriamo lo sia) un interlocutore importante se si vuole dare una svolta concreta al nostro Paese.

Per tutti il segnale dal quale partire è quello del buon governo dimostrato da tanti amministratori locali, in primis Decaro e abbandonando scelte rivelatesi fuorvianti, tipo l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, che va reintrodotto e opportunamente disciplinato, perché la democrazia non è un costo e non può essere assoggettata a chi possiede le risorse economiche. 

IL CENTRO SINISTRA

Dunque, la Schlein si ritrova con l’arduo compito di costruire una coalizione che non c’è, e che se questa alleanza potrà nascere non dipenderà solo dal Pd ma anche dai suoi interlocutori usciti sconfitti. 

 

Certo, molto dipenderà dal Pd se, anzitutto, ci si convince che dalle urne è uscito un Pd “plurale”, a dimostrazione che possono convivere visioni diverse, secondo lo spirito originario. È necessario ogni volta richiamare che il Pd è la convergenza di anime diverse e non la diretta derivazione di un solo partito del Novecento?

Senza nostalgia e per tutti, “si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà” (A. MORO, 28 febbraio 1978).

Coraggiosi nel porre con maggiore incisività i diritti sociali, come la Schlein ha fatto bene nella campagna elettorale sui temi delle disuguaglianze, dell’istruzione e formazione, della sanità, del lavoro; cui va aggiunta, la effettiva redistribuzione delle risorse; la necessità di coniugare integrazione e sicurezza, perché godersi la città a tutte le ore e in ogni luogo è anch’esso un diritto inalienabile che non lede lo spirito di umanità.

Per esempio, il PD deve poter incidere maggiormente, con scelte a livello locale “percepibili”, lì dove il centro sinistra già governa, pur con le limitate risorse a disposizioni, come la sanità. E secondo lo spirito dell’art. 3 della Costituzione per la sostanziale uguaglianza delle opportunità da garantire a tutti i cittadini, a chi fa fatica a veder soddisfatti i propri bisogni e a veder riconosciuti i propri diritti. 

IL CENTRO: UNA RETE POPOLARE

In questo scenario, c’è un “Centro”? E quale sarebbe il ruolo del “Centro”?

“Centro” non significa ricostruire la vecchia DC, così togliamo subito un argomento ancora in voga.

Piuttosto, c’è bisogno di una “rete popolare” come luogo di elaborazione del pensiero politico di matrice cattolico-democratica e popolare, aperto al contributo dell’associazionismo e soprattutto dialettico, per offrire alla politica italiana, ed in particolare al Pd, una visione alta a partire dall’ispirazione cristiana.

Un “Centro” che dimostri concretamente il valore della mediazione politica fra gli interessi collettivi, sempre nella prospettiva del bene comune.

Probabilmente, se questo “Centro” fosse sinonimo di equilibrio e umanità, frenerebbe la costante delegittimazione morale dell’avversario politico visto come un nemico; si darebbe il giusto peso alle rivendicazioni dei diritti individuali, senza eccessi, affrontandoli nella loro complessità e con la dovuta sensibilità, senza farne strumento per scopi elettorali o ideologici; si comprenderebbe che ci sta a cuore la democrazia e la partecipazione per “servire” i diritti della persona umana e le relazioni comunitarie piuttosto che i diritti corporativi propugnati dalla destra (dice la Meloni: “non so cosa esattamente preoccupi la Conferenza Episcopale Italiana, visto che la riforma - del premierato - non interviene nei rapporti tra Stato e Chiesa”).

Certo, qui sarebbe interessante uno sguardo su uno specifico retroterra di questa rete popolare, ma è il tema della Settimana Sociale e spero sia affrontato a parte.

Dare vita ad una “rete popolare” significherebbe sostenere un “bipolarismo inclusivo”. Ma così facendo si corre il rischio di formare una corrente? Si corra questo rischio, dimostrando all’atto pratico che c’è bisogno di “correnti di pensiero”, che gioverebbero al dibattito italiano, ma anche alle altre componenti del centro sinistra, vanificando la tentazione di un dirigismo imposto dall’alto, chiunque fosse, nel quale finisce per prevalere la fedeltà e, in virtù di essa, la cooptazione.

È arduo tutto ciò? Siccome ci sono, chi può si renda parte attiva. Contiamo sulla intraprendenza dei giovani (e non) amministratori, sullo spirito delle forze giovanili, tutti sostenuti dalla saggezza dei “veterani”.


Sullo stesso argomento, vedi L’ITALIA BIPOLARE di Domenico Rogante