Per un nuovo inizio

di Lino Prenna

5 maggio 2013

da L’Unità ( “Prenna: Sconfitti perché siamo usciti dai binari originari binari originari")

“Dove va il Partito democratico?”. È il titolo di una lettera inviata, agli inizi di novembre del 2009, dall’associazione Agire politicamente a Pierluigi Bersani, all’indomani della sua elezione a segretario del partito. In quella lettera, dicevamo che l’associazione considera la nascita del Partito democratico fattore di novità nella storia dei partiti politici, occasione di rinnovamento della politica italiana, opportunità storica per il movimento politico dei cattolici. Ci sembrò, infatti, decisamente inedita e significativamente innovativa la confluenza in un progetto unitario delle tre grandi culture che hanno elaborato la nostra Carta costituzionale: il personalismo comunitario del cattolicesimo democratico, l’umanesimo della tradizione socialcomunista, la concezione liberale dei diritti individuali.

Nel formulare al nuovo segretario gli auguri di buon lavoro e assicurare, nei limiti statutari, la piena disponibilità di collaborazione dell’associazione, ci auguravamo anche di poter sciogliere, nei mesi successivi, alcune riserve sul suo progetto di partito, esposto nella campagna delle primarie. Temevamo, per esempio, la possibile egemonizzazione di una componente culturale sulle altre; ritorni identitari e derive socialdemocratiche; una eventuale marginalizzazione del cattolicesimo democratico e, comunque, l’utilizzazione di questa cultura politica come riserva per le questioni eticamente sensibili, trascurando il fatto che fosse confluita nel Partito democratico quale componente strutturale del progetto, con pari titolarità e legittimazione di presenza. Auspicavamo anche che fosse un partito nuovo più che un nuovo partito e che evidenziasse, nella sua struttura organizzativa, la propria natura associativa, la collegialità effettiva degli organi gestionali e deliberativi, la sollecitudine del bene comune, l’apertura del Paese ad una più alta speranza di futuro. Purtroppo, in questi pochi ma lunghi anni di estenuazione politica, non abbiamo potuto sciogliere quelle riserve che, anzi, sono divenute inquietanti dopo la caduta rovinosa del partito, in occasione della mancata elezione di due suoi candidati alla presidenza della Repubblica.

E adesso? Nella prossima assemblea, fissata per i giorni 18  e 19 maggio, Agire politicamente tornerà ad interrogarsi sul rapporto privilegiato del cattolicesimo democratico con il Partito democratico, all’interno delle ragioni che ne hanno fondato il progetto originario.

In questi giorni, pensando a un nuovo inizio del partito ma anche ad una rinnovata proposizione del cattolicesimo democratico, sono andato a rileggere le relazioni di Pietro Scoppola e di Pierluigi Castagnetti, svolte al convegno di Chianciano nell’autunno del 2006. Scoppola sollecitava i cattolici democratici a entrare nel nuovo soggetto politico ma precisava che “se il partito democratico dovesse essere un’edizione aggiornata della socialdemocrazia non potrebbe essere il punto di approdo della storia dei popolari”. E Castagnetti, a sua volta, auspicava che “la tradizione culturale del cattolicesimo democratico fosse assunta esplicitamente, alla pari di quella socialdemocratica e di quella liberaldemocratica, come cultura di riferimento del nuovo partito”. Noi stessi, in varie occasioni e, in particolare, in un documento del settembre 2009, abbiamo parlato di “identità plurale, disegnata dalle culture che si sono impegnate a elaborarne il progetto: culture diverse, destinate non a rivendicare quote di appartenenza né a omologarsi nella spartizione del potere, ma sinceramente abitate da un’etica della mediazione, per intrecciarsi nella prospettiva di una sintesi alta e di una essenziale unità, incardinando il partito su un condiviso statuto di laicità”.

Oggi, dobbiamo riconoscere che tale progetto, pur nato da una volontà comune, non è stato sviluppato e, tuttavia, proprio per la mancata realizzazione, conserva il suo potenziale di modernità e può/deve costituire il punto di non ritorno per una auspicata ripartenza. Del resto, le “postazioni” che, negli ultimi mesi, si sono dislocate nel partito, sono riconducibili alle culture della progettazione originaria. Non entro qui nel merito del “manifesto” di  Fabrizio Barca per un “partito di sinistra” ma mi sembra di poter ricondurre le sue ampie argomentazioni alla tradizione socialcomunista, riproposta in veste socialdemocratica. L’area presidiata da Matteo Renzi, pur non ancora definita culturalmente, appare ispirata alla concezione liberaldemocratica. Infine, i popolari e cristiano-sociali si riconoscono nella cultura politica del cattolicesimo democratico. Questa componente può anche esercitare un ruolo di mediazione tra le altre due, tentate da nostalgie identitarie o da disinvolte approssimazioni.

Il prossimo congresso del partito ha il compito di “con-vocare” queste culture, perché si aprano ad una rinnovata disponibilità di percorso comune.