Di giallorosso ci basta la Roma!

Lino Prenna

Dunque, il ha vinto ma non stravinto, come sarebbe stato consequenziale alla votazione bulgara del Parlamento, nella quarta lettura della proposta di riduzione del numero dei parlamentari. E la non esigua percentuale dei no, dimostra che il senso delle istituzioni, anche se non maggioritario, è ben radicato nel nostro Paese. Perché era questo il vero oggetto del voto referendario, celato dietro la marginale modifica costituzionale. Perciò, ha vinto l’antipolitica, cioè il rifiuto e la derisione dell’assetto istituzionale della nostra democrazia, fomentata dalla subcultura dei vaffa, che ha dato forma populista al movimento pentastellato. Quella subcultura, che ha raccolto consensi trasversali nel Paese, è passata all’incasso il 20 e 21 settembre.

Se poi vogliamo andare oltre queste battute, per una analisi più attenta, anche se limitata a poche righe, non possiamo ignorare la concezione giustizialista che ispira, in genere, i provvedimenti dei grillini. Il giustizialismo, ideologia del populismo, che possiamo definire come esercizio sommario della giustizia, muove dalla presunzione di colpevolezza dell’indagato, a differenza della cultura del diritto (riduttivamente chiamata garantismo), che muove dalla presunzione di innocenza.

Così, la sentenza giustizialista è un atto punitivo. E come atto punitivo del Parlamento, colpevole di essere una casta, è stata concepita la proposta di ridurne il numero.

L’altro elemento è che si tratta di una punizione inflitta in nome del popolo, elevato o abbassato al rango di giustiziere.

Si dirà che in questi ultimi tempi, il movimento sta cambiando. A me non sembra! Tant’è che mentre Di Maio, all’indomani del voto, si affannava a dire che non è la vittoria dell’antipolitica, Grillo, garante e ideologo del movimento, rovesciava sui banchi del Parlamento europeo, una valanga di scomposte affermazioni, che saremmo tentati di archiviare nello stupidario delle amenità, se non si trattasse di insulti alle istituzioni e denigrazioni della democrazia rappresentativa.

Con questa subcultura, il Partito democratico si ostina a voler stabilire alleanze strutturali. Invece, porti a termine l’impegno improvvidamente assunto con il Governo, ma poi volti pagina e apra una stagione di riprogettazione politica, per una speranza più alta di risanamento sociale e morale del Paese.


Testo presente anche sul Foglio periodico "Politicamente - Anno XX Numero 3"