Un sincero e severo rapporto delle piaghe della chiesa

Francesco Paolo Casavola

da "Il Messaggero" - Mercoledì 25 Agosto 2010

Il Primate della chiesa di Irlanda al meeting riminese di Comunione e Liberazione ha fatto un pubblico esame di coscienza della condizione dei cattolici nel suo Paese, valido monito per la cattolicità presente in molte nazioni europee. Sincero e severo rapporto delle piaghe della chiesa, come si sarebbe espresso un Rosmini redivivo, ma con particolarità proprie della nostra contemporaneità, a cominciare da quella crudele della pedofilia nel clero. La caduta fino alla insignificanza numerica dell’attuale pratica religiosa tanto più colpisce quanto più il cattolicesimo irlandese è stato un intransigente carattere nazionale, in opposizione alle confessioni protestantiche e anglicane e al secolarismo liberale delle isole britanniche. Se poi si risale alla originaria cristianizzazione che porta le insegne della fede di San Patrizio, si resta sgomenti per una tale storica parabola di decandenza. Ma proprio perciò quello che è stato detto a Rimini è una lezione per la chiesa tutta. L’arcivescovo di Dublino ha richiamato il binomio fede e ragione nella lettura datane dal cardinale Newman, convertitosi dall’anglicanesimo al cattolicesimo nel pieno fuoco del conflitto tra valori della tradizione e della modernità nella cultura europea. E fede e ragione non per nulla sono stati i suoni di percussione del discorso cattolico dal Concilio vaticano II a Giovanni Paolo II a Benedetto XVI. Ma non ci si può accontentare della fede che cerca di parlare all’intelligenza dell’uomo, se non si è in grado di essere creduti. Pronunziare la Parola, come un’astratta e atemporale lettura di un libro remoto non è coniugare fede e ragione. Fede e ragione è realizzare incessantemente l’incarnazione del Dio della fede nella storia degli uomini. Da questo punto di vista l’educazione degli ecclesiastici è all’altezza del compito? La consapevolezza dei laici è promossa e alimentata da pastori che riducono la propria ad una qualsiasi professione intellettuale? E come si può persuadere o anche soltanto farsi ascoltare dagli atei se alle parole non seguono esempi di vita in grado di entrare nelle vite altrui e dare la misura della rinascita umana nelle vicende più drammatiche dell’esistenza individuale e collettiva? Non si tratta soltanto di conservare la consistenza demografica dei battezzati e dei praticanti e l’efficacia della loro azione sociale. Si tratta di fare della fede un lievito di conversione. E conversione è capovolgimento di valori, che la fede sollecita alla ragione perché mette la ragione in condizione di riconoscere la loro disumanità, la loro negatività rispetto alle speranze di giustizia, di libertà, di felicità. Al posto di quei valori demitizzati e criticamente, cioè razionalmente, abbandonati, occorre impiantare solidamente quelli proposti dal Dio entrato nella storia per vivere accanto e tra gli uomini, non sideralmente lontano e supplicato di miracoli da chi è alle soglie della disperazione. È dunque una conoscenza della fede non soltanto teologica, devozionistica, istituzionale, ma nuovamente evangelica. Storia del cristianesimo e storia della chiesa vanno costantemente rammemorate non da specialisti di scuola, ma dal popolo cristiano per intendere che la fede spinge la storia ed è da essa spinta. E che non si è annunciatori di vangelo, se si esce dalla storia. Ed è proprio questo uscire dalla storia il rischio che il primate di Irlanda vuole denunciare da Rimini alla chiesa della sua nazione e alla chiesa universale. Ma il rinnovamento di modi di sapere e di annunciare la fede non può essere disgiunto dal modo di vivere la fede. La vita di fede non è soltanto credere per sé, abbandonare sé stessi al mistero di Dio, è anche essere creduti dagli altri. Altrimenti si cade nella emozionalità della misteriosofia o nella intransitività del fondamentalismo. Dunque coerenza tra il sapere la fede e la sua vitale comunicazione. Il profilo della coerenza è qui decisivo. E purtroppo viviamo in un’epoca di sconcertante, diffusa, dominante incoerenza tra fatti e parole, tra programmi proclamati ed opere realizzate, tra vite private ed apparenze pubbliche, tra moralismi ed immoralità. Sembra che si sia colti, ceti dirigenti e masse anonime, intellettuali ed incolti, ricchi e poveri, fortunati ed infelici, da una patologica dissociazione di personalità, in cui l’incomprensibile nodo di verità e menzogna, espone tutti al pericolo di far naufragare la propria vita sulle pagine della cronaca nera anziché salvarla nella vita retta della onestà.