Nostalgia di Costantino?

Il numero 7/2011 della nota rivista Rocca ha pubblicato una riflessione di Giancarlo Zizola: ne riportiamo alcuni brani.

Giancarlo Zizola

(…) Catto-berlusconismo

L'insorgere di una tentazione neo-costantiniana è senza dubbio facilitato dalla deriva liberistica del governo Berlu­sconi che ha applicato la politica della privatizzazione anche ai rapporti con la Santa Sede e con la CEI, riducendoli ad un aberrante mercato di privilegi confessionali in cambio di consenso. Anche all'interno della coalizione governativa si nota con allarme che è invalsa una prassi per cui vengono sistematicamente saltati i canali diplomatici dello Stato per privilegiare comunicazioni dirette tra membri del governo e prelati romani e trattare a questo livello privatistico misure legislative di interesse ecclesiastico.

Una prassi del genere è andata incontro al neo-costantinia­nesimo di settori ecclesiastici, segnando la crisi dell'impian­to conciliare della Gaudium et Spes sul quale si fondava l'aspettativa che la Chiesa seguisse altre strade, diverse da quella delle posizioni di potere, per farsi strada nel mondo delle anime. Di fatto, la Chiesa reale ha ceduto alla facilità di una Chiesa ‘di Stato’ esorbitando dal proprio campo con interventi in­vasivi nei campi in cui, in una società pluralista, lo Stato può e deve legiferare, cioè sulle coppie di fatto, sul tratta­mento di fine vita, sulla ‘pillola abortiva’ eccetera: altrettan­ti campi sui quali lo Stato ha competenza ed è tenuto a in­tervenire con attente mediazioni fra l'ordine dei valori e la complessa realtà sociale in rapida trasformazione. Si tratta di situazioni che di fatto sono presenti nella nostra società, e sui quali il potere civile è pienamente legittimato a legife­rare per inquadrarle in un minimo di normativa civile, ad evitare mali maggiori.

Strategie interventiste

Le sortite di alcuni vescovi di regime ne hanno dato una corposa convalida, nella congiuntura delle notti orgiastiche del premier. Tra le scorciatoie assolutorie escogitate, nes­sun discepolo laicista di Machiavelli avrebbe saputo toccare le altezze cognitive raggiunte da Giampaolo Crepaldi, il ve­scovo che sta dividendo la comunità cristiana di Trieste. In un volume Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa (Can­tagalli, 2011), Crepaldi afferma: “Tra un partito che contemplasse nel suo programma la difesa della famiglia fondata sul matrimonio e il cui segretario fosse separato dalla moglie, e un partito che contemplasse nel programma il riconoscimento delle coppie di fatto e il cui segretario fos­se regolarmente sposato, la preferenza andrebbe al primo partito”. E aggiungeva: “E più grave la presenza di principi non accettabili nel programma che non nella pratica di qual­che militante, in quanto il programma è strategico ed ha un chiaro valore di cambiamento politico della realtà più che le incoerenze personali”.

Il suo confratello Luigi Negri, vescovo di San Marino e Mon­tefeltro, non esitava a schierarsi a difesa di Berlusconi, ad­ducendo (in un articolo al settimanale Tempi, poi in una intervista a La Stampa) l'appoggio assicurato da questo go­verno ai ‘principi non negoziabili’, quali la difesa della vita dal suo inizio al suo termine naturale, ai valori della fami­glia, avvalorando questi vantaggi come sufficienti a giustifi­care la mancanza di ‘indignazione’ verso le condotte perso­nali del premier (in realtà, verso le presunte sue violazioni di leggi dello Stato sulla concussione e la prostituzione mi­norile, contestategli dalla Procura di Milano).

Lo spettacolo di vescovi che si prodigavano ad affondare alcuni principi fondamentali dell'ordine cristiano tradiziona­le per tenere a galla Berlusconi non poteva lasciare indiffe­renti. Già al Consiglio Permanente della CEI, aperto il 24 gennaio ad Ancona dalla prolusione del Cardinale Bagna­sco, si erano manifestate le inquietudini di alcuni vescovi secondo i quali la Chiesa con il suo atteggiamento ancillare nei confronti del regime avrebbe assunto ‘la responsabilità di intrattenere questo governo’. ‘Un conto è pazientare, tutt'al­tro sostenere’ era stato osservato da chi avvertiva dei gravi danni che una sostanziale collusione col regime avreb­be procurato alla missione pastorale, chiamata a rivol­gersi a tutti, al di là di opzioni politiche settarie.

A Crepaldi hanno risposto alcuni gruppi cristiani di Verona (in ‘Segni dei tempi’, anno II, n. 10) indicando il pericolo dell'immoralismo berlusconiano, dei suoi fiancheggiatori e della vasta pletora dei tolleranti per il suo potere destruttu­rante dal punto di vista civile e politico. Essi contestavano ‘ la pretesa di scindere vita privata e vita pubblica’ come uno dei fattori (accanto all'eventuale responsabilità per atti penalmente rilevanti) che ‘inquinano alla radice la possibili­tà della costruzione di una vita sociale in cui si possa ricono­scere’.

La vera alternativa a Dio

Sulle tesi neo-costantiniane di Negri interveniva poi, uscen­do da un prolungato silenzio, l'emerito vescovo di Ivrea Lui­gi Bettazzi. In una ‘Lettera aperta’ egli difendeva lo statuto originalmente evangelico dell'’indignazione’ e rammentava che tra i principi ‘non negoziabili’ è presente quello fonda­mentale della solidarietà, in forza del quale ci si deve impe­gnare non solo in difesa delle vite più deboli ma anche di tutte le vite ‘minacciate’, ‘come sono quelle di quanti sfug­gono la miseria insopportabile o la persecuzione politica, che sono invece fortemente condizionate dal nostro Gover­no’. Del resto, anche sotto il profilo delle ‘consonanze cri­stiane’, ‘non si è fatto nulla per favorire la vita nascente con leggi che incoraggino il matrimonio e la procreazione come ha fatto la 'laica' Francia’. Infine, a contraddire la tesi che il politico va giudicato solo per la politica, Bettazzi ricor­dava che *chi sta in alto deve dare il buon esempio perché egli - tanto più in quest'era mediatica, influisce sull'opinione pubblica. Ed è questo che dovrebbe preoccupare noi vescovi, cioè il diffondersi, soprattutto fra i giovani, dell'opinione che quello che conta è 'fare i furbi', è riuscire in ogni modo a con­quistare e difendere il proprio interesse, il bene particolare, anche a costo di compromessi, come abbiamo visto nei genito­ri e nei fratelli che suggerivano alle ragazze di casa di vendersi ad alto prezzo’. Così si diffonde l'idolatria del fare soldi, del fare ciò che si vuole, concludeva Bettazzi. Si instaura nella società ‘la vera alternativa a Dio’ (‘o Dio o mammona’), si ignorano le raccomandazioni della CEI sul bene comune come impegno specifico dei cristiani.(…)

(…) Con pericoli per lo sviluppo delle dinamiche democratiche ( al­tro che puritanesimo moralistico !), ma anzitutto pericoli ‘per l'anima della Chiesa stessa, per la sua mistica’ ammoniva Achil­le Ardigò poco prima di morire. ‘Vedo il pericolo - sottoli­neava il discepolo di Giuseppe Dossetti - nella volontà ormai esplicita della gerarchia di scendere direttamente, in prima persona, sul terreno politico più operativo, quello dell'organiz­zazio­ne, delle scelte tattiche, delle valutazioni di convenienza e opportunità, del fine che giustifica i mezzi (...). La Chiesa non può farsi partito politico senza rischiare di dissolvere il proprio fondamento mistico’.