Come e perché leggere Fratelli tutti

Renato Balduzzi

da “Il Popolo” - 15 Ottobre 2020

Fratelli tutti è qualche cosa di più che un’enciclica, la lettera circolare che il Papa invia agli uomini e alle dotare di buona volontà: è una summa di tutto il pontificato, in essa c’è tutto Francesco, la sua capacità di vedere le cose da un altro punto di vista, di dare voce a chi non  ha voce, alle periferie, a chi è al margine.

Ma non è un’opera individuale, perché dentro e dietro di essa stanno la sapienza secolare della Chiesa (e la consapevolezza anche dei suoi errori e delle colpe commesse), i predecessori di Bergoglio, gli episcopati di oggi, alcuni intellettuali a lui particolarmente cari i (specialmente Paul Ricœur, ma anche Georg Simmel), ma altresì il dialogo e i pezzi di cammino fatti con le altre religioni e le altre culture.

Il linguaggio è alla portata di tutti, come ormai ci ha abituato Francesco, ma è una lettera impegnativa, e che richiede impegno al lettore. Soprattutto l’impegno a non chiuderci di fronte ad essa, a non difenderci di fronte alle sfide che essa ci pone.

L’analisi della vita di oggi parte da una constatazione amara: «Nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi». (n. 30). Ingozzati di connessioni, abbiamo perso il gusto della fraternità. Il Papa comprende i nostri timori, anche quelli verso i migranti, il nostro istinto naturale di autodifesa: «ma è anche vero che una persona e un popolo sono fecondi solo se sanno integrare creativamente dentro di sé l’apertura agli altri». (n. 41).

Siamo preda di un modello culturale unico, i cui tratti sono (n. 13 e segg.): la perdita del senso della storia; l’essere prevalentemente consumatori e spettatori, non protagonisti e partecipi; la sfiducia costante, mascherata con identità di facciata; l’ossessione per il breve termine; l’illusione di essere onnipotenti. Nell’età digitale, poi, le ideologie hanno abbandonato ogni pudore.

Senza fraternità, la libertà diventa solitudine e l’uguaglianza è solo tra soci, viete meno il prossimo.

Appunto, il prossimo. Cruciale nella lettera di Francesco è il grande commento alla parabola del buon samaritano (tutto il cap. 2), paradigma del nostro rapporto con gli altri, con il mondo, con noi stessi.

Nella scelta di farci prossimo e di prendersi cura del prossimo e non solo dei nostri “soci” sta il nucleo di senso della vita di ciascuno di noi, e la base della proposta dell’enciclica: diventare «spiriti liberi e disposti a incontri reali» (n. 50), sviluppare amicizia sociale, fatta di prossimità e non soltanto di socialità, partendo dal basso e dal locale (n. 78), avendo benevolenza (n. 112) e sapendo tenere insieme globale e locale, apertura e identità, particolare e universale (n. 142).

La lettera contiene molte proposte. Agli imprenditori (nn. 122-123: parole di grande equilibrio e saggezza). Ai politici (tutto il cap. 5, invitati a essere popolari senza essere populisti: gli eroi del futuro saranno quelli che sapranno spezzare la logica malsana di volersi accaparrare tutto il potere e i maggiori vantaggi possibili, e invece «decideranno di sostenere con rispetto una parola carica di verità, al di là degli interessi personali» (n. 202).

Ma il passaggio più forte è quello che riflette sull’esperienza della pandemia: questa ci ha, per un momento, fatto riconoscere che siamo tutti nella stessa barca. Ma, quando sarà passata la crisi sanitaria, «la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica» (n. 35).

Anche per questo, la lettera di Francesco va meditata con cura.