Provincie

Milano, 4 Gennaio 2012
Indiscutibilmente (e inevitabilmente?) tartassato dai complessivi provvedimenti proposti dal nuovo governo e approvati (giocoforza?) dal Parlamento, il cittadino “comune” non si lamenterà certo delle norme che, di fatto, puntano a svilire il ruolo delle Province. Avendo io frequentato a lungo quegli ambienti, e non essendo del tutto digiuno di leggi riguardanti l’assetto istituzionale del nostro Paese, pur lungi dal voler accampare difese corporative ritengo tali norme un poco stravaganti, diciamo così.
Toccare in qualche modo l’argomento “costi della politica” era ovviamente imprescindibile, per l’esecutivo dei “tecnici”. E partire dall’ente intermedio era forse una scelta obbligata, oltre che facile, se si considera quanto, contro di esso, hanno tuonato negli ultimi anni i noti, pur stimati giornalisti “anti casta” (imitati poi da quasi tutti i colleghi), la Confindustria, e persino un discreto gruppo di parlamentari. Questi ultimi, lo dico con un pizzico di perfidia, probabilmente convinti o perlomeno speranzosi che l’azzeramento delle suddette istituzioni (è questo l’obiettivo finale) possa bastare a evitare di procedere a un più complessivo “restyling” del nostro sistema “pubblico”, che parta, come io credo dovrebbe essere, dal livello “romano”.
Il provvedimento in questione comporterà un risparmio di spesa quantitativamente quasi banale, è noto, se rapportato ai costi complessivi “della politica”. Il problema vero è però un altro: a questi enti “rivisitati” (con una procedura costituzionalmente assai discutibile, dicono gli esperti) spettano ora, esclusivamente, funzioni, uno, d’indirizzo politico, due, di coordinamento dell’attività dei Comuni. Funzioni indubbiamente importanti, che gli stessi avevano in verità già in precedenza, e che in effetti, negli anni, sono state forse, soprattutto la seconda, esercitate poco e male.
La prima obiezione è però: se si mantiene in capo alle Province la funzione di “indirizzo politico”, ha poco senso, in una logica di non compressione - pur tenendo conto del tema “costi” - degli spazi di democrazia, ridurre al lumicino il numero dei consiglieri provinciali. Bastava forse un (nuovo) taglio ragionevole, nonostante le “prebende” di queste figure siano nettissimamente inferiori a quelle dei livelli istituzionali diciamo “superiori”.
E poi: i “vecchi enti” non si occupavano soltanto di “programmazione” e di “coordinamento”, ma gestivano anche una serie di attività riguardanti i “problemi di area vasta”: nel campo della viabilità, dei trasporti, dell’istruzione superiore, della formazione professionale, dell’ambiente, del turismo, eccetera. Attività, è noto, i cui risvolti “politici”, che toccano cioè le diverse sensibilità della popolazione, sono notevoli. Queste funzioni saranno dunque trasferite e ripartite tra i Comuni e le Regioni, e, conseguentemente, le giunte  provinciali verranno soppresse.
La seconda obiezione, pertanto, è: se si tratta di gestire problemi di area vasta, per ciò stesso non risolvibili (pensiamo solo per esempio alle strade “provinciali”) da parte dei singoli Comuni, quale senso ha affidarne la competenza a questi ultimi? Che saranno costretti, c’è da immaginare, a creare molteplici (e a loro volta costosi?) strumenti associativi allo scopo. Immagino la contro-obiezione: ma no! Penserà a tutto la Regione, ente ormai consolidato e “provetto”. Buon Dio! Se è così, aumenterà enormemente la confusione tra funzioni legislative, di programmazione, e di gestione in capo allo stesso ente. Che è giusto il problema di oggi delle Regioni. E crescerà altresì il rischio, in presenza di queste nuove Province “fittizie”, di un neocentralismo di ritorno, incoerente con quella voglia di autonomismo e di “federalismo” esplosa a dritta e a manca soprattutto negli anni recenti. Ciò potrà magari piacere ai “governatori” (uso un termine che detesto, ma che tutti, ormai, pronunciano in luogo di “presidenti”), che assai probabilmente troveranno ulteriori spazi per implementare la politica di elargizione di “bonus” e “voucher”, redditizi elettoralmente. Ma non credo farà funzionare meglio il Paese.
Le Province sono indubbiamente troppe (e non soltanto perché se ne sono create molte di proporzioni inadeguate), ed era indispensabile un intervento di profonda razionalizzazione del relativo sistema. Da inquadrare, però, in un disegno più complessivo, pur da realizzare con gradualità, che ricomprenda l’intera dimensione statale. A partire, con le finalità che sappiamo (riduzione del numero di deputati e senatori, superamento del “bicameralismo perfetto, ecc.), dal Parlamento, e passando dal livello regionale, ove va superata la “confusione” che dicevo. In realtà, per concludere, lo schema istituzionale previsto dalla Costituzione (una Repubblica costituita da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato) è tuttora valido, se debitamente revisionato. La soluzione “provinciale” adottata al momento a me sembra più che altro un “pasticcio”. Se posso osare affermarlo senza offendere i “professori”. .