Considerazioni preelettorali

Milano, Gennaio 2013

Il ritorno in forze del “Caimano” (il capo dei “moderati”!), che riporta il calendario politico a venti anni fa, ha già pregiudicato, è mia opinione, la legislatura che nascerà col voto di febbraio. Comunque vada, avremo un Parlamento di nuovo rissoso, inconcludente, incapace di affrontare di petto, innanzitutto, le note questioni istituzionali, la cui soluzione definiamo imprescindibile da troppo tempo. Il Cavaliere sconfitto (e dunque col dente avvelenato), ma non distrutto, impedirà qualsiasi confronto costruttivo tra le forze politiche. Certo, talvolta proverà a mostrare un minimo di senso di responsabilità, ma essendo nella sua natura occuparsi soprattutto del proprio “ego” (smisurato, peraltro), più che dei problemi del Paese, non combinerà nulla di positivo, in argomento. E’ davvero sorprendente, allora, che in tutto il centrodestra, che pure ricomprende soggetti di un qualche valore, nessuno sia riuscito a fermarlo. E che Alfano, per esempio, sia ancora lì, nonostante le ripetute figuracce che il Capo gli ha fatto fare. La ragione, per lui e per tutto il “clan” berlusconiano, dai Capezzone ai Cicchitto, è peraltro ovvia: il potere e le risorse, a partire da quelle materiali, dell’uomo di Arcore, sono enormi. Conviene allora stargli comunque attaccati, ricavandone consistenti benefici anche sul piano personale. Il “potere”, intanto, l’uomo di Arcore lo sta esercitando occupando ogni ora le sue TV, naturalmente assai compiacenti. E qui sorvolo per carità di patria sugli errori e le omissioni del centrosinistra a proposito del conflitto d’interessi. Temo, dunque, una nuova legislatura inconcludente sulle grandi riforme istituzionali in particolare. Che dovrebbero ridisegnare la cornice entro la quale agire poi ogni ulteriore azione politica, economica e sociale. Quanto vi sia necessità, anche sul piano simbolico, di affrontare per esempio il tema della “casta” (che non è soltanto un’invenzione dei noti giornalisti), e dunque dei costi della politica, che le vicende degli ultimi mesi stanno rivelando persino, in talune situazioni, di natura “perversa”, diciamo così, non v’è bisogno di dirlo: a partire dall’alto si tratta, ne siamo consapevoli, credo, di: dimezzare, più o meno, il numero dei parlamentari (affrontando contestualmente la questione dell’ormai inutile “bicameralismo perfetto”) e le relative indennità, oltre che di abolirne taluni privilegi assurdi. Definire un regime rigoroso di ineleggibilità e di incompatibilità, che ricomprenda anche, perché no, regole che impediscano (sulla scorta dell’esempio degli USA ricordatoci da Gian Antonio Stella) che le Camere vengano riempite da troppi professionisti miliardari in quanto totalmente liberi di cumulare, insieme allo “stipendio” parlamentare, gli ingenti introiti dei propri studi professionali; far smettere i giochini delle candidature in più collegi, eccetera. A scendere bisogna poi mettere ordine nel sistema Regioni, in una certa misura emule di Roma, ridefinendo soprattutto, per quanto necessario, funzioni e competenze: serve poco, forse, cancellare le Province (operazione indispensabile, peraltro, nelle aree “metropolitane” e laddove queste sono state costituite solo per compiacere i politici locali), se si consente poi che le amministrazioni regionali si trasformino in enti votati, più che all’azione legislativa di pertinenza, a gestire, sulla testa degli stessi enti locali minori, l’attività amministrativa spicciola, fonte peraltro, di norma, di consistenti “ritorni” elettorali, cioè di clientele. Non soltanto la Lombardia “docet”, in argomento. In Province e Comuni si tratta di cancellare, nella misura giusta, il pletorico meccanismo di società partecipate, consorzi, enti vari, che offrono opportunità di “poltroncine” di seconda fila, non per questo poco appetite. E via discorrendo. La prossima è forse, allora, l’ultima occasione per provare a ridurre, nella direzione suddetta, il distacco tra politica e società. Non ci si riuscisse, il clima nel Paese diverrebbe irreparabilmente incandescente. L’accennato ritorno a venti anni fa è suggellato dal rinnovato accordo tra il Pdl e la Lega Nord dell’ex guerrigliero Roberto Maroni. Che in Lombardia ha provocato la spettacolare (e indegna) giravolta del già albertiniano Roberto Formigoni (ahi, le assonanze!). D’altronde, si capisce: il “Celeste” ha una necessità disperata di difendere l’enorme potere (ciellino) messo in piedi nel sistema sanitario. Anche se è da vedere se il partito già bossiano (che straparla di macroregione del Nord e di tasse da trattenere, come se fossimo un Paese federale) glielo consentirà, qualora vincesse, sino in fondo. Prevalesse (auspicabilmente) Ambrosoli, avrà molto da fare, nel campo. Dunque, poche speranze di volontà vera di riforme, da quella parte. Ma qualche dubbio viene anche guardando da questa parte. Se, a riguardo per esempio del Parlamento, i nostri “vecchi”, in tanti anni, non sono riusciti ad avviare, appunto, il processo di ridimensionamento numerico della rappresentanza, e annessi e connessi, i “nuovi”, usciti dalle “parlamentarie” di dicembre, quale voglia avranno voglia di pensare da subito all’ipotesi di… durare una legislatura soltanto? Le “parlamentarie”, appunto. Grande fatto di democrazia, indubbiamente, che solleva però qualche interrogativo, a rileggere la vicenda con calma. Organizzate in una data quasi impossibile (io stesso non vi ho potuto partecipare), così che i votanti complessivi si sono ridotti a un terzo rispetto ai tre milioni del confronto Bersani-Renzi. C’era fretta, è vero, ma a me pare che forse ci si poteva prendere qualche tempo in più, per organizzarle meglio. E’ stata una sorta di lotteria (del tipo “win for life”, però, stante il “premio” in palio), che ha messo un po’ troppo l’uno contro l’altro. Penalizzando ingiustamente qualche “uscente”, magari persino al primo mandato, e premiando invece, col sistema delle deroghe, qualcun altro che non meritava. La prossima volta, andranno dunque predisposte con più criterio, io penso. E’ stata penalizzata, in particolare al Nord, la componente ex “popolari”, come ha evidenziato Castagnetti su “Europa”. Il quale, tuttavia (ed io, ex popolare, condivido), considera che non sia più possibile continuare a ragionare sulla base di vecchie categorie. Qual è, d’altronde, lo “specifico” popolare, oggi? Il “riformismo” contro il “progressismo”? Non mi convince. Sui temi etici, certo, credo che i popolari abbiano una visione condivisa. Sarebbe meglio, però, non giocare su tali argomenti. Come il Monti che se ne ricorda all’improvviso e fa un’affermazione favorevole alla posizione della Chiesa, e il Berlusconi che, per dispetto (così si dice) perché quest’ultima vede con simpatia il primo, esprime una posizione contraria. E’ stata premiata l’area bersaniana, dunque, è vero, ma io non credo affatto a una sorta di complotto, pur evocato, attuato da Bersani appositamente per “far fuori” i cattolici democratici. Nelle liste, del resto, il nostro candidato alla presidenza del consiglio ha poi ricuperato personaggi di spessore di questo mondo, quali Emma Fattorini, Edo Patriarca, Ernesto Preziosi, Flavia Nardelli. E non credo si tratti di un’operazione assimilabile a quella del vecchio PCI, che si creava strumentalmente un’appendice cattolica. Si metteva, cioè, una foglia di fico apposita. In realtà, mi sembra, gli eletti piddini alle primarie, più che frutto di una particolare furbizia organizzativa della “corrente” del segretario, sono il risultato, da una parte, della capacità di taluni di essere spesso (ho in mente i Fassina & company, ma anche il giovane Civati, come pure, peraltro, la matura Bindi), e con argomenti di attualità, sui mezzi di comunicazione, e, dall’altra, dal desiderio generalizzato di “nuovo”, che ha finito col premiare tanti giovani e, in particolare, tante donne. Andata come è andata, il PD ha l’obbligo, a questo punto, di valorizzare mediaticamente questo avvenuto “rinnovamento”. I giovani non hanno reali competenze e neppure una reale autonomia intellettuale, è la critica dei delusi dalle primarie. Ma i “vecchi” hanno pur iniziato da giovani, spesso, suvvia! Certo, adesso Bersani deve vincere. Ha un mezzo avversario in più (ma anche, nel suo piccolo, un amico in più: l’intelligente Tabacci), che risponde al nome di Mario Monti, inspiegabilmente (o no?) diventato capo politico (sotto la tutela di Casini? Bah!), mentre poteva godersi la gloriosa e per certi versi più comoda prospettiva della Presidenza della Repubblica. Ma davvero, mi chiedo, l’ex premier ha immaginato che in Italia possa primeggiare numericamente un centro puro? Non so, in ogni caso, se il capo del governo possa essere definito di destra, come si sostiene da qualche parte, o di centro. Anche se, di solito, chi dice che destra e sinistra non hanno più significato è di destra. Per Monti, dunque, il Partito democratico è troppo di sinistra. Per via della posizione dei giovani leoni e del contatto con Vendola. Spaventato anche lui, l’ex premier, dalla battuta di quest’ultimo sugli straricchi, che ha fatto scrivere fiumi di pagine demonizzanti agli opinionisti moderati-liberal-montiani del Corrierone? E com’è, allora, che io, pur già democristiano, non mi sono scandalizzato, invece? Nella prospettiva di una società un pochino più giusta ed equa non mi pare una bestemmia, via!, parlare di logiche redistributive, e affermare che i super ricchi devono pagare di più, magari tramite una bella “patrimoniale. Il problema, allora, è che l’agenda dello “europeo” Monti, pur in parte condivisibile, non basta. Gli impegni nei confronti dell’Unione sono ovviamente fuori discussione anche nell’agenda di Bersani. Ma, oltre al rigore, noi puntiamo, appunto, a un quid in più di equità, di giustizia. E a sviluppare in particolare politiche del lavoro più confortanti per chi ha il problema. I giovani in particolare, pertanto. E riteniamo che il nostro “welfare”, pur con tutte le sue storture da correggere, resta un valore. Con buona pace degli Ichino e di certi “riformisti”. Ho letto sul già citato quotidiano di via Solferino che il confronto, oggi, ha da essere tra “moderati” e “socialdemocratici”. Dirò allora che, personalmente, il secondo termine non mi spaventa. Comunque sia, di una cosa dobbiamo essere grati al premier uscente: ha scatenato ulteriormente l’orco berlusconiano (attualmente alle prese col problema delle “liste sporche” – e quelle Pdl saranno un po’ sporchine, a quanto pare- e alla ricerca delle alleanze più pittoresche) mostrandolo nella sua vera essenzialità: e non è un bel vedere, francamente. Mario Monti, stiano i riformisti di qua e di là, come dice, credo sappia perfettamente che la sua alleanza con Bersani è obbligata, se non si vuole regalare di nuovo il paese alla destra. Anche se si dovrà tener conto dei “numeri” dell’uno e dell’altro. Obbligata pure con Vendola (che amministra una Regione, non dirige un “soviet”), con buona pace di Casini. Per finire ribadisco però che la prossima dovrebbe essere, per le ragioni dette, una legislatura che si occupa prevalentemente, perlomeno agli inizi, di questioni costituzionali e istituzionali. Col quadro politico che si prospetta sarà tuttavia dura, temo. Che sia allora ipotizzabile l’idea di una nuova, dopo quella di settanta anni fa, “assemblea costituente” da affiancare a un Parlamento votato alla gestione “ordinaria” (ordinaria si fa per dire, naturalmente)?