27 settembre 2022

(dopo il 25…)

L’esito delle elezioni politiche del 25 settembre ci pone il dovere di un attento esame della situazione che si è creata ed in cui ci troviamo a vivere e ad operare, oltre che delle circostanze che l’hanno prodotta. Pubblichiamo questo scritto di Vincenzo Ortolina, consigliere nazionale di Agire Politicamente, precisando che si tratta di un parere strettamente personale.  

Vincenzo Ortolina

27/09/2022

Premettendo, per onestà intellettuale, che ho votato Pd, pongo la seguente domanda: l’Italia è andata tutta a destra, dunque? Tutta “meloniana”, o quasi?

Calma, calma! Certo, i “Fratelli (?) d’Italia”, oggi, sono il primo partito, avendo ottenuto, forse impensabilmente (leggo le percentuali della “Camera”, sostanzialmente ripetuti, mi pare, al Senato), il 26,9% dei consensi, e dunque più che ‘sestuplicando’ il 4,3% del 2018. Una percentuale evidentemente eccezionale, che stupisce, in ogni caso. Conseguita però in gran parte, non si può non chiarire immediatamente, a scapito dei compagni di cordata (diciamo anzi “cannibalizzandoli”), rappresentati al vertice dagli “spompati” Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Il primo ha infatti perso la metà dei voti delle precedenti “politiche”, il secondo (il quale pur sperava di rifarsi assumendo il ruolo di “profeta moderato”, e dunque appetibile, del “destracentro”) più del 40%.

Comunque sia, cinque anni fa la coalizione di centrodestra, più o meno simile all’attuale, aveva ottenuto complessivamente, sempre con riferimento ai dati della Camera, il 37% dei voti. Oggi, quasi il 44%. Un aumento indubbiamente piuttosto significativo ma, alla fine, percentualmente non … sbalorditivo, non “stratosferico”.

Il problema è che l’assurdo meccanismo della nuova legge elettorale consegna oggi alla destra, con questi risultati, 235 seggi su 400 alla Camera, e 115 su 200 al Senato: quasi il 60% dei relativi componenti, altro che un 44%!

“Trionfo del centrodestra e dèbacle del centrosinistra” è, inevitabilmente, il commento più o meno generalizzato dei “media”. Commento che però merita delle precisazioni non secondarie. Chiarite le quali, gli sconfitti potrebbero avere qualche motivo in meno per disperarsi definitivamente sul futuro. E … per non cadere quindi in una … forma depressiva irreversibile, mi vien da dire con un pizzico d’ironia, senza atteggiarmi, cioè, a psicologo. E tantomeno a psicoterapeuta.

Mi spiego: tenendo sempre a riferimento l’esito alla “Camera”, tutti i media titolano correttamente “Centrodestra”, attribuendole il 43,8% dei voti, la coalizione che mette insieme Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, e i “moderati” di centrodestra. Chiamano similmente “Centrosinistra”, attribuendole la percentuale del 26,1%, la coalizione di Partito democratico, più Alleanza verdi e sinistra, più +Europa. Il problema, al riguardo è che, a queste elezioni, disgraziatamente, fuori dalla citata coalizione definita tout-court dai media di “centrosinistra”, c’erano un’altra lista di centro non orientata sicuramente (o sbaglio?) a destra, quella del cosiddetto “Terzo polo”, nonché anche quella del “nuovo” M5S, pur vagamente definibile di sinistra, o comunque non di destra. Lo caratterizzo così (“vagamente definibile”) perché a me fa un po’ sorridere, in ogni caso, il tentativo di Conte, che pure ha fatto un governo con tal Salvini (nientemeno!), di presentarsi adesso come una sorta di “Che Guevara de noantri”. E sto parlando di quel Conte che pure io ho in qualche misura apprezzato, e di quei “Cinquestelle” la cui scelta a favore del “Reddito di cittadinanza” non ho certo disprezzato, anche se ora mi pare sia giusto rivederne in qualche misura il meccanismo.

Potrei a questo punto sintetizzare, allora, dicendo che in Italia, a fronte di un “destracentro” che si attesta come detto, sempre con riferimento ai dati Camera, su una percentuale vicina al 45%, c’è un insieme di partiti di “centro” non destroide (diversamente dai Lupi, ecc.), di “centrosinistra”, e di “sinistra”, diciamo “di governo” (il cui esponente principale, Speranza, ho tra l’altro particolarmente apprezzato come ministro, nella drammatica vicenda pandemica), che supera pur di poco il 49%: Pd, più Alleanza Verdi e Sinistra, più Bonino, col 26,1% totale; Mov. 5 Stelle, col 15,4%; Azione più IV, col 7,8%. Il dato più eclatante, peraltro, facendo un confronto pur parziale con le “politiche” del 2018, è che se i “democratici” hanno avuto un lievissimo miglioramento (da 18,7 a 19,1%), i “Cinquestelle" di Conte hanno confermato la dèbacle (dal 32,7 di allora al citato 15,4% di oggi).

Certo, ma il centrodestra è stato furbo e ha fatto coalizione formale. Il “Centrosinistra” (che potrebbe dunque mettere insieme tutti i partiti appena sopra citati), NO.

Già. Ma la colpa è di Letta, proclamano all’unisono Conte, Calenda e Renzi.

Balle! detto con convinzione. Perché il segretario Pd ha cercato ripetutamente di formare il “campo largo”. Un campo, ovviamente, di “centrosinistra”, appunto (inteso, possibilmente senza un trattino netto tra “centro” e “sinistra”), naturalmente a vocazione di governo. Ma Calenda, il giorno dopo l’accordo con Letta (che non può non avergli riferito che in una coalizione di centrosinistra bisognava appunto guardare anche alla sinistra “governativa”), ha rotto i ponti facendo la sua lista con un Renzi ormai convertito, politicamente, al “centrismo”. Una lista che peraltro ha ottenuto un risultato indubbiamente inferiore alle migliori aspettative (qualche suo esponente aveva evocato in proposito un esito almeno a due cifre, parlando di un 12%), che, mi pare di poter dire, non è servito minimamente, nonostante l’obiettivo fosse dichiarato, a ridurre la forza del centrodestra/destracentro e, conseguentemente, la febbre da “melonite” del Paese. Il “Terzo polo”, cioè, com’era prevedibile, non ha “rubato” un numero davvero significativo di voti al centrodestra, bensì al centrosinistra. Quanto al pentastellato “Giuseppi” (che si considera un pizzico ridicolmente, ribadisco, come il capo della “nuova sinistra” italiana), costui non poteva non sapere che il robusto contributo dato dal suo partito all’operazione di siluramento del governo Draghi, in un momento tra l’altro così delicato, avrebbe impedito, a ridosso delle elezioni, un’alleanza PD-M5S. E pensare che, a proposito di Draghi, io mi ero un pizzico illuso ragionando così: la caduta del suo governo è stata stigmatizzata quasi all over the world, a partire ovviamente da grande parte degli italiani. Conseguentemente è pensabile, mi dicevo, che una grossa fetta di elettori castigherà gli affossatori del governo. Ma dimenticavo, evidentemente, come sono fatti, mediamente, gli ita(g)liani (metto la “g” quando mi fanno un po' arrabbiare –ndr). Il cui voto va peraltro, ovviamente, rispettato.

La mia conclusione sintetica in argomento è comunque che, di là dagli errori - che pure ci sono stati - di Letta, i signori Conte, Calenda e Renzi si sono assunti un’antipatica responsabilità nella vicenda che porterà Giorgia Meloni ad assumere il ruolo di capo del prossimo governo. E per uno come il sottoscritto, che pur auspica da tempo un “Premier” donna, in Italia, quel nome non è motivo di particolare gioia.

E, sempre in proposito, attenzione!: facendo un accenno alla polemica su “fascismo e antifascismo”, che l’exploit della Meloni ha acuito, sollevando anche non poche preoccupazioni, io chiarisco che sono certo che il “fascismo”, perlomeno nelle sue forme tradizionali, è morto e sepolto. Nessun ritorno al 1922, dunque! E ci mancherebbe! Anche perché Giorgia non è stupida, è furba, e non farà certo errori clamorosi, in proposito. Non si può però dimenticare che il suo partito, come ha scritto taluno, è “pieno di vecchi e nuovi nostalgici, animati soprattutto dall’idea di prendersi una rivincita contro la grande scelta democratica del primo gennaio 1948, che chiuse definitivamente la bruttissima pagina aperta ventisei anni prima con la "Marcia su Roma". Pensando poi in particolare al trionfo ottenuto da Fratelli d’Italia nel Nord Est del Paese, non riesco a trattenermi dal riandare ai contenuti di un recente libro, che ho appena letto, scritto da Paolo Berizzi (il quale ha subito atti intimidatori per essersi occupato del tema), dal titolo: "E’ gradita la camicia nera. Verona, la città laboratorio dell’estrema destra tra l’Italia e l’Europa". Vi si parla di "laboratorio italiano dell’estrema destra di potere, di ex skinheads e animatori di festival nazirock, capi ultrà che allo stadio inneggiano a Hitler, tradizionalisti cattolici nemici giurati dell’Illuminismo, dello Stato unitario e del dilagante progressismo ecclesiale", avvocati dal saluto romano fin troppo facile.

Per carità! Ho già anticipato che la Meloni non è affatto sciocca e sa cosa significa oggi essere capo del governo. E allora, che preoccupa più direttamente i sinceri democratici (quorum ego, oso dire) oggi, è altro. Cioè, il fatto che il destracentro sta proponendo iniziative “dirompenti”: sul piano ‘costituzionale, il “Presidenzialismo” (con correlative voglie di “un uomo solo al comando”?), la voglia di un’Italia, nel contempo, sovrana e “federale” (rivendicata in questi giorni dal leghista storico Pagliarini), che consenta alle Regioni più forti e più ricche di ottenere il massimo di autonomia, che verrebbe dunque diversificata, probabilmente, tra Sud e Nord; sul piano “programmatico”, un nuovo sistema fiscale “innovativo”, che però è già stato definito da politici e da esperti “ingiusto, regressivo e classista”. Sul piano “internazionale”, una linea melonian-salviniana -comunque “mediata”- che potrebbe finire col provocare una brutta rotta di collisione con l’Europa. Senza dimenticare che sino a ieri Giorgia simpatizzava per Orban. Eccetera, Per quanto mi riguarda: NO, GRAZIE!

Concludendo, pur senza enfatizzare ciò, segnalo un ultimo dato che mi sconcerta un poco: il Putin (di cui si erano fatti buoni amici, lo sappiamo, sia Berlusconi sia Salvini) che esulta (non stiamo parlando dei soliti auguri di prammatica, in questi casi …) per il trionfo della Meloni, il figlio di Bolsonaro che ne celebra la vittoria asserendo che lei è tutta “Dio, patria e famiglia”, la fortissima simpatia, ricambiata, della leader di FdI per “Vox” (ai cui congressi ha partecipato), il partito spagnolo di destra e di estrema destra sedicente d’ispirazione “cristiana”, la cui ideologia politica si rifà a neofranchismo, conservatorismo nazionale, conservatorismo sociale, euroscetticismo, populismo di destra, ultranazionalismo, antislamismo, monachismo. DI NUOVO: NO, GRAZIE!

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P.S.: Citando “Vox”, ho indirettamente evocato lo spinoso tema, in Italia in particolare, riguardante la politica e il mondo cattolico. Più concretamente, dopo il 25 settembre italiano, il tema su come hanno votato i cattolici, e perché così. Insomma il tema che si dibatte da decenni, dopo la fine della DC. In argomento mi riservo, ahimè per voi, di scrivere un altro pezzo non brevissimo.