Il crocifisso ci appartiene (1)

Riportiamo due interventi esposti da Augusto Barbera[1] e Paolo Pombeni[2] sul supplemento Bologna 7 del quotidiano Avvenire, in merito alla decisione della Corte europea dei diritti del 3 novembre scorso.

Augusto Barbera

La decisione della Corte europea dei diritti del 3 novembre scorso è sorprendente. Essa fa propria una lettura della laicità che appartiene ad altri ordinamenti, in particolare alla Francia e alla Turchia. Non a caso diverse sono le Sentenze in cui la Corte di Strasburgo ha dovuto difendere decisioni di quei Paesi contrarie all’uso, negli spazi pubblici, di simboli religiosi, in particolare il velo islamico. Adottando tale lettura la Corte è venuta meno ai «margini di apprezzamento statale» nell’applicazione della Convenzione europea; vale a dire è venuta meno a quell’orientamento giurisprudenziale che di norma segue al fine di rispettare le tradizioni costituzionali nazionali.

Norme analoghe a quelle francesi o turche (o svizzere o tedesche per i docenti) sul divieto di portare in classe segni religiosi «ostensibles» - come appunto il velo o altri distintivi religiosi - non avrebbero trovato in Italia un opinione pubblica favorevole. Non è estranea alla tradizione giuridica italiana una limitazione della libertà di vestirsi liberamente da parte di scolari (all’inizio del Novecento i maestri socialisti caldeggiavano l’uso del grembiule proprio per non evidenziare le differenze di ceto sociale fra gli alunni) ma sarebbe stato contrario alla tradizione italiana vietare l’uso di simboli religiosi da parte di docenti o studenti. E comunque, in base ai nostri principi costituzionali (articolo 19 della Costituzione) , il diritto di libertà religiosa implica la libertà di farne testimonianza in tutti gli ambienti, anche indossando il velo islamico od ostentando altri segni della propria fede.

Basterebbe questo, in breve, per sottolineare il diverso concetto di laicità presente in Italia rispetto agli altri Paesi prima ricordati. Il tema dell’esposizione del Crocefisso nelle scuole deve dunque essere ricondotto ai principi della nostra Costituzione . Negli anni scorsi era un problema sollevato quasi esclusivamente da non credenti (o da credenti gelosi del valore esclusivamente religioso del crocefisso) oggi può essere reso più acuto dalla contestazione verso i simboli cristiani da parte di gruppi portatori di altre fedi religiose. La presenza del Crocefisso viola il principio di laicità in quanto espressione di un retaggio confessionista oppure appartiene al «patrimonio storico» del nostro Paese ed è un simbolo di identità nazionale? La sua presenza offende chi cattolico non è oppure la sua rimozione offenderebbe quanti, anche non credenti, si riconoscono per i motivi più diversi in quel simbolo? Sono domande di indubbia rilevanza politica e civile alle quali devono rispondere il nostro legislatore e la nostra Corte costituzionale. E’ un tema quindi troppo importante sia per chi è contrario e sia per chi è invece favorevole all’esposizione del Crocefisso, che non può essere lasciato né a fragili circolari o regi decreti né affidato ai soli giudici di Strasburgo. Ben venga quindi un progetto di legge che consenta al Parlamento italiano - sia alla maggioranza che alle opposizioni - di esprimersi solennemente, magari distinguendo fra le aule scolastiche e gli altri edifici pubblici e valorizzando nelle attività scolastiche anche altre culture religiose minoritarie.



[1] Augusto Barbera, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Bologna.

[2] Paolo Pombeni, docente di storia contemporanea all’Università di Bologna.